Dal 2017 è obbligatorio per le città sopra i 100mila abitanti adottare i Piani Urbani di Mobilità Sostenibile. Ma, con l’avvento delle piattaforme digitali e della sharing mobility, sono già “vecchi”. La sfida ora è vedere i centri urbani come un insieme di reti di trasporto diverse ma interconnesse e integrate tra loro
Ora più che mai, nei grandi centri urbani, c’è bisogno di mobilità sostenibile. La maggior parte delle città è ormai caratterizzata da ingenti flussi di traffico veicolare e da comuni problemi di accessibilità alle aree di parcheggio autorizzate, con implicazioni negative sull’ambiente e sulla qualità di vita dei cittadini.
Il concetto di mobilità sostenibile, e il dibattito che ne è scaturito, risalgono alla fine degli anni ’90. Oggi però la riorganizzazione della mobilità urbana è divenuta una questione prioritaria, legata indissolubilmente al concetto di sostenibilità territoriale e orientata, quindi, verso il risparmio energetico, la riduzione dei rischi e del potere inquinante, la salvaguardia della salute e dello spazio pubblico, come bene comune.
Nei centri urbani, la congestione del traffico, l’elevata incidentalità, le emissioni inquinanti, un trasporto pubblico non sempre rispondente alle esigenze dei cittadini e il degrado delle aree urbane (dovuto all’occupazione massiva di automobili a discapito delle aree pedonali e pedonabili) pongono l’interrogativo su come garantire il trasferimento di persone e merci, migliorando efficacia, efficienza e sostenibilità.
Le città considerate più virtuose nell’affrontare questo fenomeno si sono dotate di strumenti definiti “di indirizzo”: i PUMS (Piani Urbani per la Mobilità Sostenibile) che tracciano le linee strategiche per il raggiungimento di una serie di obiettivi.
Il sistema degli obiettivi dei PUMS si articola generalmente in quattro macro categorie, che si richiamano alle altrettante dimensioni ormai consolidate del concetto di sostenibilità: sviluppo, ambiente, società, economia che devono essere affrontate con iniziative mirate a massimizzarne le ricadute positive.
Mobilità sostenibile: i piani obbligatori per le città dal 2017
Con il Decreto 4 agosto 2017 i Piani Urbani di Mobilità Sostenibile sono diventati un obbligo per tutte le città italiane sopra i 100.000 abitanti ma, a soli due anni di distanza dal Decreto, il web e le “piattaforme digitali” globali, in particolare il Mobility Sharing (car, bike, scooter,…), hanno modificato anche questo settore, rendendo il PUMS una realtà già da adeguare e aggiornare.
Le nuove piattaforme digitali hanno stravolto i metodi dei policy maker, abituati a studiare la mobilità, in genere condivisa, come una semplice griglia di strade e nodi (incroci, parcheggi, fermate) sulla quale inserire la rete del trasporto privato e pubblico (corsie preferenziali), i nodi di interscambio (parcheggi dove lasciare la propria auto e prendere il trasporto pubblico), ecc.
Oggi, però, la questione ha raggiunto una maggiore complessità: car pooling, car sharing, bike sharing, ride-hailing, scooter e monopattini, il tutto con la declinazione dell’elettrico, hanno di fatto trasformato il concetto di “rete e nodi” rendendo il sistema di trasporto urbano una matrice in continuo cambiamento (gli esperti li chiamano “eco-sistemi di mobilità”), introducendo il concetto di “Smart Mobility” (mobilità intelligente).
Le amministrazioni pubbliche sono di conseguenza obbligate a un continuo e rapido adeguamento, sia in termini di studio della mobilità stessa (con i tradizionali PUMS), sia in termini autorizzativi: dove costruire i parcheggi, installare le colonnine di ricarica elettriche, quali regole dare per l’accesso al centro storico e quali tragitti assegnare ai mezzi di trasporto (un esempio di questi giorni è il dibattito sulla collocazione e inquadramento dei monopattini elettrici e delle e-bike).
In risposta a tali rapidi mutamenti, il sistema dei trasporti si sta sempre di più frammentando in micro-servizi e multi-operatori privati che, se non adeguatamente regolati, seguono la regola commerciale della massimizzazione dei profitti, privilegiando le zone di servizio in base ai profitti e non all’utilità stessa (es: nessun car sharing in zone periferiche o popolari).
In un sistema complesso come quello descritto è indispensabile una regia tecnica centrale al fine di garantire una mobilità efficiente ma anche sostenibile e inclusiva di tutte le persone.
Mobilità sostenibile: ora serve l’intermodalità con l’aiuto dei Big Data
La nuova sfida per i policy maker di questo settore è, quindi, la creazione di una intermodalità accessibile a tutti, adeguando i Piani Urbani alle esigenze emergenti e ripensando, anche con l’aiuto dei BIG DATA, la città come un insieme di reti di trasporto diverse ma interconnesse. Giocando con gli acronimi si potrebbero ridefinire PUMIS: Piani Urbani per la Mobilità Intelligente e Sostenibile.
A livello di amministrazione pubblica, centrale e locale, sarà necessario emanare norme che favoriscano l’integrazione e l’interconnessione dei diversi sistemi di trasporto, attraverso strumenti certi, quali la condivisione dei dati (infomobilità) e l’apertura a soggetti terzi, dei sistemi di prenotazione e di pagamento (software Open con interfacce API).
Solo attraverso l’integrazione intelligente dei sistemi si potrà passare da un metodo di trasporto all’altro, in tutta semplicità, secondo le proprie esigenze del momento e favorendo i mezzi non o meno inquinanti: dal trasporto pubblico al bike sharing, dalla metro allo scooter, e per fare un parallelismo telefonico…il “roaming della mobilità”.
Le best practice a livello internazionale sono oramai moltissime. Helsinki, Parigi, Los Angeles e Singapore, stanno sperimentando la mobilità come servizio (MaaS: Mobility as a Service) cercando di unificare e integrare in un’unica piattaforma digitale servizi di pianificazione, prenotazione, biglietteria elettronica e pagamento end-to-end per tutti i mezzi di trasporto, pubblici o privati.
Inoltre, con la promozione di una tassazione o una bigliettazione intelligente, si riuscirà a incoraggiare gli utenti a modificare le proprie abitudini di mobilità e a dimenticare o lasciare in garage l’auto privata fino a ridurne la necessità del possesso. Tenendo conto che l’ingresso dei veicoli autonomi sul mercato modificherà nuovamente le politiche di mobilità urbana.